Il reato di violenza sessuale è disciplinato dall’art. 609 bis c.p. e rientra nel delitti contro la persona Titolo XII Libro II del codice penale.
In perfetto equilibrio con la delicatezza del tema in esame e la massima difesa da offrire alla persona offesa, esso è stato oggetto di profonde modifiche a seguito dell’entrata in vigore della Legge n.ro 69 del 19 Luglio 2019 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” ( cd. Codice Rosso.)
Secondo l’art. 609 bis c.p./comma 1 “chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, è punito con la reclusione dai sei a dodici anni”.
E’ evidente dunque che la condotta incriminata è suddivisibile in due categorie: violenza per costrizione e violenza per induzione.
Il Legislatore del 1996 infatti, nel delineare l’elemento oggettivo del reato ha abbandonato il richiamo alla sola congiunzione carnale e agli atti di libidine violenti , optando, di converso, per una nozione unitaria di “atti sessuali”.
Allo stesso modo la Giurisprudenza , in virtù del bene giuridico della dignità e dell’autodeterminazione della persona, ha interpetrato in senso estensivo la locuzione in esame , ricomprendendovi “ogni atto comunque coinvolgente la corporeità sessuale della persona offesa, e posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale ella persona non consenziente” (Cass. n.ro 43495/2012).
Lo stesso Legislatore del 1996 affiancava al reato in esame, l’ art. 609 octies rubricato “Violenza Sessuale di gruppo” consistente nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p., prevedendo in seguito all’introduzione del Codice Rosso, l’aumento della cornice edittale da 8 a 14 anni con l’applicazione delle circostanze aggravanti di cui all’art.609-ter, quando in precedenza la pena era aumentata solo se concorreva talune delle suddette circostanze.
Proprio in merito al concetto di partecipazione ad atti di violenza sessuali, si è recentemente pronunciata la Giurisprudenza di Legittimità, per chiarire la portata e il significato concreto della norma in esame.
Con la recente sentenza 21 ottobre 2020, n.ro 29096 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di violenza sessuale di gruppo.
Ai fini dell’integrazione del concetto di “partecipazione” e, dunque, della configurazione della fattispecie di cui all’art. 609 octies c.p., requisito necessario e sufficiente è la presenza di più persone nel luogo e nel momento di commissione degli atti di violenza sessuale, non richiedendosi da parte di ciascun compartecipe il compimento di un atto tipico di violenza sessuale, ma un contributo causale, anche minimo, alla commissione del reato, che ben può sostanziarsi in un comportamento anche inerte, purché partecipativo, idoneo a rafforzare il proposito criminoso dell’esecutore materiale e ad intimidire maggiormente la persona offesa, riducendone così le possibilità di difesa.
La pronuncia trae origine dal ricorso proposto da un soggetto imputato dei reati di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo che asseriva la sua estraneità ai fatti contestati essendo stata la sua, una “presenza inerte” sul luogo ove si era consumata la violenza sessuale di gruppo (materialmente commessa da altri), da qualificarsi come un’ipotesi di mera connivenza non punibile.
La Corte di Cassazione ha però precisato che il delitto di violenza sessuale di gruppo, è configurato dalla “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis” per cui il reato di cui all’art 609 octies c.p. si caratterizza per la necessaria partecipazione di più soggetti semplicemente riuniti – alla commissione degli atti di violenza sessuale.
Di qui , d’altronde , la qualifica del delitto in esame come reato necessariamente plurisoggettivo proprio (dunque, con punibilità estesa a tutti i concorrenti nel reato). Ai fini della punibilità per il delitto di violenza sessuale di gruppo per i giudici di legittimità, secondo un orientamento consolidato, “non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo”.
E’ evidente come l’orientamento giurisprudenziale sia in perfetto equilibrio con il disvalore del fatto commesso e la tutela del bene giuridico della libertà della persona, costituzionalmente garantito . Ovvia conseguenza è quindi la qualificazione del concetto di partecipazione come “qualsiasi condotta , tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spettatore, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva”.
rientra nella nozione di atto sessuale, qualunque atto che coinvolga oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva dell’autore di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale.
Il reato di cui all’art. 609 bis c.p. è posto a presidio della libertà sessuale dell’individuo che deve compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale e contro ogni non voluta intrusione nella sfera sessuale. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo, è tutelata dall’art. 2 Cost. e l’assolutezza del diritto non tollera possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca del fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto invasivo della sfera sessuale altrui senza consenso (Sez. 3, n. 21020 del 28 ottobre 2014. P.G. in proc. C., Rv. 263738; Sez. 3, n. 12506 del 23 febbraio 2011, Z., Rv. 249758). In presenza di un atto definito come sessuale sul piano obiettivo, qual è il toccamento o palpeggiamento di una zona erotica, e non soggettivo dalla vittima, il fine di concupiscenza se può concorrere a definire l’atto come sessuale (ma non nel caso di atto in sè sessuale come i toccamenti dei genitali), ulteriori e altri fini (ludico o di umiliazione) non lo escludono (Sez. 3, n. 25112 del 13 febbraio 2007, Rv. 236964; Sez. 3, n. 35625 del 11 luglio 2007, Polifrone, Rv. 237294
L’immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima si ha quando l’agente raggiunge le parti intime (zone genitali o comunque erogene della persona offesa) o provoca un contatto della vittima con le parti intime proprie, essendo indifferente, in tal caso, che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica (Sez. 3, n. 4674 del 22/10/2014, dep. 2015, Rv. 262472), con la conseguenza che solo in siffatti casi può ritenersi la consumazione del reato di cui all’art. 609 bis c.p.
E’ stato perciò detto che la valutazione del giudice sulla sussistenza dell’elemento oggettivo non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ed al grado di intensità fisica del contatto instaurato, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva, esaminando la vicenda con un approccio interpretativo di tipo sintetico: di conseguenza possono costituire un’indebita intrusione fisica nella sfera sessuale non solo i toccamenti delle zone genitali, ma anche quelli delle zone ritenute “erogene” – ossia in grado di stimolare l’istinto sessuale – dalla scienza medica, psicologica ed antropologico-sociologica.
Il concetto di libertà sessuale viene inteso in dottrina e in giurisprudenza in due diverse accezioni: l’una avente un contenuto negativo, l’altra un contenuto positivo. Nella prima accezione, essa ha il significato di diritto a non subire l’altrui sopraffazione sessuale. Dall’altro, si afferma che la libertà sessuale è soprattutto libertà di piuttosto che libertà da, ossia libertà di disporre del proprio corpo e di compiere libere scelte in relazione alla propria sessualità (Cocco -Ambrosetti 2010, 327 s).
Sicchè nella nozione di atti sessuali debbono farsi rientrare tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale (in questa facendo rientrare anche le zone erogene) con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, ovvero abuso di inferiorità fisica o psichica. (6)
Con la recente sentenza 21 ottobre 2020, n. 29096 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di violenza sessuale di gruppo.
Ai fini dell’integrazione del concetto di “partecipazione” e, dunque, della configurazione della fattispecie di cui all’articolo 609-octies Codice Penale, condizione necessaria e sufficiente è la presenza di più persone nel luogo e nel momento di commissione degli atti di violenza sessuale, non richiedendosi da parte di ciascun compartecipe il compimento di un atto tipico di violenza sessuale, ma un contributo causale, anche minimo, alla commissione del reato, che ben può sostanziarsi in un comportamento anche inerte, purché partecipativo, idoneo a rafforzare il proposito criminoso dell’esecutore materiale e ad intimidire maggiormente la persona offesa, riducendone così le possibilità di difesa.
La pronuncia trae origine dal ricorso proposto da un soggetto imputato dei reati di sequestro di persona e violenza sessuale di gruppo avverso l’ordinanza con cui il Tribunale per i Minorenni aveva rigettato l’istanza di riesame della decisione di applicazione nei confronti del predetto della misura cautelare della custodia in istituto penitenziario minorile. Per quanto di interesse in questa sede, il ricorrente aveva dedotto la sua estraneità ai fatti contestati per una sua “presenza inerte” sul luogo della perpetrata violenza sessuale di gruppo (materialmente commessa da altri), da qualificarsi come un’ipotesi di mera connivenza non punibile.
La Corte di Cassazione, nel richiamare precedenti arresti giurisprudenziali sul tema de quo, ha evidenziato come il delitto di violenza sessuale di gruppo, previsto dall’articolo 609-octies Codice Penale, sia integrato dalla “partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis”. Il delitto di cui all’articolo 609-octies Codice Penale si caratterizza, dunque, per la necessaria partecipazione di più soggetti – appunto, riuniti – alla commissione degli atti di violenza sessuale.
L’elemento della partecipazione di più soggetti riuniti vale a qualificare la fattispecie di violenza sessuale di gruppo come reato necessariamente plurisoggettivo proprio (dunque, con punibilità estesa a tutti i concorrenti nel reato) e a distinguerla da quella di cui all’articolo 609-bis Codice Penale.
La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quest’ultima disposizione si giustifica proprio in ragione del riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto “una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione”. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, da una parte, un rafforzamento del proposito criminoso dell’autore materiale della condotta e, dall’altra, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione.
Ai fini della punibilità per il delitto di violenza sessuale di gruppo non si richiede il compimento, da parte di ciascun compartecipe, di atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis Codice Penale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui siano altri a commettere il delitto, presenza che sia idonea a produrre gli effetti suindicati nei confronti dell’autore materiale e della vittima.
E infatti, come ricordano i giudici di legittimità, secondo un orientamento consolidato, “non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo”.
Il concetto di partecipazione, quindi, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte di ciascun compartecipe, di un atto di violenza sessuale, dovendosi ritenere punibile, qualora sia realizzato un fatto di violenza sessuale, “qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero “spettatore”, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva”.