Sintesi
In presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, fondato sulle dichiarazioni della persona offesa, ancorché confermate da soggetti estranei alla coppia, la denuncia tardiva non esclude la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia p. e p. dall’art. 572 c.p.
Il fatto
Con ricorso per Cassazione, un uomo impugna la sentenza della Corte d’appello di Cagliari che confermava la condanna in primo grado per il reato di maltrattamenti in famiglia, ai danni della moglie, previsto dall’art. 572 c.p. , aggravato dalla presenza del figlio minore ex art. 61, n. 11-quinquies c.p. .
In particolare, la donna dichiarava di aver subito maltrattamenti tali da generare un clima di grave ed abituale vessazione nel contesto familiare.
Solo dopo un determinato lasso di tempo, tuttavia, si decideva a riferire tali condotte alle Autorità competenti.
Il ricorrente, pertanto, impugna la sentenza di secondo grado censurando che, a suo dire, la Corte territoriale avrebbe motivato la decisione esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa e senza valorizzare che la denuncia/querela fosse intervenuta a distanza di molto tempo dai fatti contestati.
Infine lo stesso contesta la mancata assunzione della testimonianza del figlio (all’epoca minorenne) che avrebbe potuto smentire di aver assistito personalmente ai maltrattamenti e, quindi, escludere la configurabilità dell’aggravante ex art. 61, n. 11-quinquies c.p.
La decisione
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 44427 del 04.10.2022 supera la tesi difensiva -secondo cui la condanna si sarebbe fondata esclusivamente sulle affermazioni della persona offesa – valorizzando le plurime conferme delle dichiarazioni della donna da parte di soggetti terzi rispetto alla famiglia (in particolare il maresciallo e il responsabile del centro antiviolenza).
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza di legittimità (si veda anche Cassazione n. 2102/2022) è ormai consolidata nel ritenere che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole fissate dall’art. 192 co. 3 c.p.p. (sulle dichiarazione rese dal coimputato o dall’imputato in procedimento connesso) per cui possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
La Suprema Corte ha, tuttavia, precisato che, a tale fine, occorre un vaglio rinforzato di attendibilità della vittima.
La Corte dimostra, pertanto, che, nei delitti contro la famiglia, le testimonianze di soggetti estranei al contesto familiare – caratterizzate, pertanto, da profili di terzietà rispetto alla coppia – sono determinanti per confermare quel giudizio di necessaria attendibilità delle affermazioni della persona offesa.
Il complessivo ragionamento è assolutamente coerente con il fatto che il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato da condotte che si verificano in contesti privati e, quindi, al di là dei referti medici, le dichiarazioni della persona offesa sono spesso le uniche fonti di prova che possano suffragare la colpevolezza dell’imputato.
Ed ancora, con la sentenza in commento, i Giudici di legittimità respingono la censura del ricorrente secondo cui il lasso temporale intercorso tra i maltrattamenti e la denuncia, escluderebbe la sussistenza della condizione psicologica di soggezione indispensabile per configurare il delitto di maltrattamenti in famiglia.
Posto che, come opportunamente dedotto, di recente, dalla giurisprudenza di legittimità, “per la configurabilità del reato di maltrattamenti non è necessaria una totale soggezione della vittima perché la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza” (Cass. n. 809/2022);
secondo la Corte di Cassazione – con la sentenza in commento –questo aspetto non è dirimente in quanto è molto frequente che le vittime denuncino non in modo tempestivo gli atteggiamenti lesivi e nocivi dei loro aggressori, autoconvincendosi che così facendo possano tutelare il benessere dei figli e della famiglia nonché per ragioni economiche e per paura quindi questo non preclude l’attendibilità delle sue dichiarazioni.
Con ciò ha ritenuto che la tardiva denuncia della donna non fosse un elemento idoneo a insinuare un ragionevole dubbio circa la commissione del reato.
Sul punto non può essere taciuto che, d’altronde, il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. è procedibile d’ufficio e, dunque, prescinde da una formale querela della persona offesa.
Da ciò si deduce che se l’interesse dell’ordinamento alla repressione del reato prescinde da un atto formale della vittima, evidentemente anche la colpevolezza dell’imputato non può essere del tutto condizionata dal tempo intercorso tra i fatti e la loro comunicazione alle Autorità.
Naturalmente – come opportunamente rilevato anche dai giudici di legittimità – occorre che il quadro probatorio sia pienamente affidabile.
Ed è proprio l’esaustività dell’impianto probatorio che giustifica, secondo la Cassazione, la scelta della Corte territoriale di non interpellare il figlio minorenne all’epoca dei fatti.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, le eventuali dichiarazioni del figlio non avrebbe garantito un apporto conoscitivo su fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli per i quali i giudici di merito hanno già ritenuto superato ogni ragionevole dubbio.
Per tutto quanto esposto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’uomo al pagamento delle spese processuali.