Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute nel mese di maggio 2018 cercando di dirimere l’ormai annoso contrasto giurisprudenziale in tema di compensatio lucri cum damno, con quattro sentenze gemelle, la n.ro 12.564 sul rapporto tra risarcimento danni per morte del congiunto e pensione di reversibilità; la n.ro 12.565 relativa al rapporto tra risarcimento danni e indennità assicurativa; la n.ro 12.566 sul rapporto tra risarcimento danni e rendita assicurativa INAIL, e n.ro 12.567 inerente il rapporto tra risarcimento danni e indennità di accompagnamento INPS.
Nonostante non ci sia una norma ad hoc, il criterio della compensatio è desumibile dall’art. 1223 c.c. rubricato “risarcimento del danno”, il quale stabilisce che lo stesso deve comprendere tanto il danno emergente quanto il lucro cessante.
Esso trova fondamento nel principio della causalità giuridica, in virtù del quale deve essere risarcito solo il danno che sia conseguenza immediata e diretta del fatto illecito e che abbia effettivamente cagionato un pregiudizio al danneggiato: ne consegue che qualora questo abbia tratto un vantaggio dall’illecito non potrà pretenderne la liquidazione nell’ammontare risarcitorio, poiché comporterebbe un ingiustificato arricchimento.
Il danno non deve essere fonte di lucro e il suo risarcimento è finalizzato alla ricostituzione dello status quo ante e, quindi, l’eventuale vantaggio sarà sottratto da quanto dovuto dal danneggiante.
Se la giurisprudenza è stata unanime nel riconoscere l’operatività di tale criterio quando danno e vantaggio avessero la medesima natura giuridica e, quindi, il medesimo titolo (come ad es. nel caso di risarcimento per danno da emotrasfusione dove l’indennizzo viene scomputato dal risarcimento, perché il soggetto obbligato alle due prestazioni è il medesimo, ossia il Ministero della Salute, Cass. S.U. n. 584/2008), contrastante è stata relativamente all’ipotesi in cui danno e vantaggio non fossero tra loro omogenei nel titolo, nel senso che le conseguenti prestazioni risarcitorie e indennitarie fossero riconducibili a soggetti diversi.
Sul punto si sono registrati due orientamenti: una prima impostazione ha ritenuto l’operatività della compensatio, dovendosi quindi procedere al diffalco dell’indennizzo dall’ammontare del risarcimento; un secondo indirizzo, invece, non lo ha ritenuto applicabile (caso tipo è il cumulo tra risarcimento del danno da perdita del coniuge e la pensione di reversibilità, quest’ultima erogata dall’INPS).
Le Sezioni Unite nelle quattro sentenze gemelle, capovolgendo l’impostazione offerta dalla giurisprudenza e dalla dottrina, ripudiano, ai fini dell’applicazione del criterio in esame, tanto la valutazione circa l’omogeneità del titolo tra danno e vantaggio, quanto la valutazione in termini di nesso di causalità tra il fatto illecito e il vantaggio.
L’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico non è condizione di operatività della compensatio ma è criterio di selezione dei vantaggi scomputabili dall’ammontare risarcitorio. Infatti, occorre valutare il nesso funzionale intercorrente tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria. Ne deriva che se la ragione giustificatrice tanto del risarcimento quanto dell’indennizzo è la medesima, opererà il criterio della compensatio; diversamente le due prestazioni saranno tra loro cumulabili.
Quindi non sarà più il titolo l’elemento discretivo per ricorrere alla compensatio ma la causa che sottende le due diverse attribuzioni patrimoniali. Ancora, le Sezioni Unite hanno individuato un ulteriore criterio per poter ritenere applicabile la compensatio: l’esistenza, a livello normativo, di sistemi di surroga e di recupero tali da consentire al soggetto terzo tenuto all’indennizzo di potersi rivalere sul danneggiante nei limiti di quanto versato. Il diffalco conseguente alla compensatio lucri cum damno sarà possibile solo se il danneggiante rimarrà esposto all’azione di recupero da parte del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio patrimoniale collaterale al fatto illecito.
È evidente come il Supremo Consesso non abbia potuto dare alla compensatio la dignità di principio generale del nostro Ordinamento ma, al più, di un criterio da applicare di volta in volta al singolo caso concreto, dando comunque adito a nuovi interrogativi circa l’individuazione dei criteri con cui accertare la “causa giustificativa di un’attribuzione patrimoniale” .