Con sentenza n.ro 22437 del 24 settembre 2018 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno segnato un “cambio di rotta” in tema di clausole claims made (“a richiesta fatta”).
Il loro controllo infatti non è più sottoposto al vaglio dell’art. 1322 c.c. e quindi al controllo di meritevolezza degli interessi perseguiti con tali meccanismi contrattuali. Infatti, appurata la loro “tipicità” giacché la legge ne contempla alcune ipotesi di applicazione e riconosce dunque la derogabilità dell’art. 1917 c.c. tale controllo sarà sottoposto a quello di cui agli artt. 1337 c.c. 1338 c.c. e 1419 c.c. come di seguito spiegheremo.
Nell’ambito dei contratti di assicurazione della responsabilità civile, il modello della clausola claims made (a richiesta fatta) differisce dal modello loss occurence (insorgenza del danno) previsto dall’art. 1917 c.c., in quanto per il primo la copertura assicurativa opera solo se la richiesta risarcitoria del terzo danneggiato sia formulata nel periodo di vigenza della polizza, per il secondo opera in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo di vigenza della polizza, quindi a prescindere dalla data in cui venga effettuata la richiesta risarcitoria.
All’uopo giova evidenziare che si distinguono due tipologie di clausole claims made: pura, per la quale la richiesta di risarcimento deve pervenire durante la vigenza della polizza assicurativa a prescindere dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso; impura o mista, per cui tanto l’evento quanto la richiesta risarcitoria devono inserirsi nella vigenza della polizza.
Nate nel sistema giuridico anglosassone prima e nord americano poi, le clausole claims made si sono diffuse anche in Italia a tutela delle Compagnie Assicuratrici le quali, vigente il solo modello codicistico, si sono trovate a far fronte a ingenti costi, specie per gli indennizzi dei “danni lungo latenti”.
A livello normativo hanno di recente trovato riconoscimento nella Legge Gelli n. 24/2017 all’art. 11 in tema di responsabilità medica, e in ambito di responsabilità professionale dell’avvocato all’art. 2 del D.M. 22 settembre 2016
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in tema di validità delle suddette clausole. In una delle prime pronunce: Cassazione civile sez. III, 07/04/2010, n.8235 esse sono state definite nulle ex art. 1229 c.c. perché limitative della responsabilità dell’Assicuratore. In un’altra pronuncia delle Sezioni Unite del 06/05/2016, n.ro 9140 ne è stata esclusa la vessatorietà, ma sono state ritenute suscettibili di essere dichiarate nulle “per difetto di meritevolezza” ex art. 1322 c.c..
Ancora, con sentenza n.ro 27867 del 23/11/2017 la III sez. civile della Suprema Corte ha escluso la vessatorietà delle clausole claims made perché non limitano la responsabilità dell’Assicuratore ma circoscrivono e descrivono l’oggetto del contratto di assicurazione.
Ed è proprio questo il contesto in cui si sono ritrovate di recente le Sezioni Unite: uno scenario alquanto vario nel quale si prospettavano diverse soluzioni, tra le quali quella di ritenere le clausole claims made non vessatorie ma di valutarne la validità nel caso concreto alla stregua del parametro ex art. 1322 c.c. quindi, in termini di meritevolezza dell’interesse perseguito.
Nonostante fosse proprio questo uno dei motivi del ricorso, gli Ermellini cambiano rotta e focalizzano l’attenzione sullo scrutinio della validità delle clausole claims made non in termini di meritevolezza ma in termini di convenienza del contratto concluso, in una fase precontrattuale, e di concretizzazione degli interessi perseguiti dalle parti.
Pertanto il contraente assicurato laddove ravvisi di aver concluso un contratto svantaggioso potrà invocare la tutela di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.; laddove invece nel concreto l’operazione contrattuale non persegua lo scopo pratico prefissato dalle parti, si potrà invocare il rimedio di cui all’art. 1419 c.c., quindi nullità del contratto per difetto di causa concreta.
Quali che siano state le ragioni per le quali la Suprema Corte si sia espressa in tal senso, non è dato sapere. È chiaro però che agli occhi di chi scrive la presente pronuncia non risolve la questione ma apre a nuovi scenari, stante, ad oggi, l’esigua produzione normativa in materia.