Dott. Lia Chiarenza

Le SS.UU. penali della Corte di Cassazione con sentenza n. 10381/2021 al convivente more uxorio, ponendo fine ad un’annosa questione che aveva visto anche il coinvolgimento della Corte Costituzionale.

La norma citata prevede una causa di non punibilità in senso stretto per i delitti ivi indicati, allorquando il fatto è stato commesso “per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore”.

Il riferimento al “prossimo congiunto” ha da subito suscitato l’attenzione degli interpreti, atteso che nell’elenco di cui all’ art. 307 co. 3 c.p. non si rinviene altresì il convivente more uxorio.

Ci si è sin da subito chiesti se la norma potesse estendersi mediante il ricorso ad una analogiain bonam partem” anche al convivente, considerata la rilevanza sociale del fenomeno.

Per un primo orientamento, l’art. 384 c.p. introdurrebbe una causa di non punibilità in senso stretto e, trattandosi di norma eccezionale, non sarebbe passibile di estensione analogica ai sensi dell’ art. 14 delle Preleggi .

Secondo un secondo orientamento, la norma prevedrebbe una causa di giustificazione assimilabile allo stato di necessità ex art. 54 c.p. e risulterebbe non estensibile non già perché norma eccezionale ma perché la condizione del convivente more uxorio sarebbe ontologicamente differente da quella del coniuge.

La Corte Costituzionale, in passato, ha avuto modo di chiarire che sebbene il legislatore avesse ampliato i margini di tutela riservati al convivente, mai si sarebbe potuto arrivare ad una piena equiparazione con la famiglia “legittima”, quale società naturale fondata sul matrimonio.

Il vincolo matrimoniale gode di una precisa solidità e di un definito riconoscimento sociale non paragonabile a quello derivante da un semplice accordo di convivenza.

Inoltre, si riteneva che la “lacuna” normativa fosse volontaria perché in altre ipotesi il legislatore ha espressamente esteso anche al convivente more uxorio la materia penale: si pensi al delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, in cui si è estesa espressamente la tutela anche al convivente.

Estendere sic et simpliciter l’art. 384 c.p. avrebbe inevitabilmente generato seri problemi di compatibilità con il divieto di analogia “in malam partem”, aprendosi così la strada ad interpretazioni non sempre favorevoli al convivente more uxorio.

Né si sarebbero potuti superare i limiti invalicabili dati dai principi di tassatività e determinatezza delle norme penali. Non dello stesso avviso è stata quella parte della giurisprudenza che ha sostenuto una tesi innovativa, poi avallata dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia.

A ben vedere, l’art. 384 c.p. è sì una causa di esclusione della punibilità ma non in senso stretto, in quanto si tratta di una scusante o causa di esclusione della colpevolezza.

L’agente si rappresenta e vuole gli elementi di cui ai delitti indicati dalla norma ma il processo motivazionale è gravemente inficiato dalla sussistenza di un grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore per sé o per un prossimo congiunto.

La forza del sentimento familiare prevale rispetto alla consapevolezza di commettere il reato, anzi è proprio la stessa a dirigere l’azione dell’agente.

Ed invero, la condotta dell’agente non avrebbe potuto spiegarsi diversamente considerata la situazione di necessità, divenendo quindi inesigibile una condotta conforme a legge.

Per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’art. 384 c.p. sarebbe espressione del principio di inesigibilità della condotta, principio generale dell’ordinamento giuridico, e pertanto estensibile analogicamente anche al convivente more uxorio.

Né potrebbe sostenersi che la mancata menzione dei conviventi nell’elenco di cui all’art. 307 c.p. sia voluta di proposito dal legislatore, in quanto è ormai pacifico come la convivenza abbia una sua importanza sociale ed anche una certa stabilità al pari della famiglia fondata sul matrimonio. Una disparità di trattamento in tali termini comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza ex art. 3 Cost .

A parere di chi scrive, la sentenza in esame è innovativa non tanto perché ammette l’estensione analogica dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio ma per l’intero percorso argomentativo che conduce a questa conclusione, in quanto ha assunto un peso decisivo il principio di inesigibilità della condotta, quale principio fondamentale dell’ordinamento e causa di esclusione della colpevolezza.

Si è sempre discusso sulla possibilità di ritenere il principio di inesigibilità della condotta una scusante proprio per i risultati opinabili cui potrebbe portare, ritenendo non punibili determinate condotte ed altre sì o rischiando di ottenere per casi simili pronunce differenti. Non è indubbio che questa pronuncia porterà ad alimentare il dibattito dottrinale e giurisprudenziale anche su altre questioni in cui possa farsi applicazione del principio de quo.

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