Sommario: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La particolare tenuità del fatto. 4. La decisione.
1. Massima
La condotta post-delictum è uno degli elementi che il giudice prende in considerazione per l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.
2. Il caso2
Il Sig. H.Q. datore di lavoro, a seguito di ispezione, risultava responsabile della violazione delle disposizioni poste a tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro previste, in combinato disposto, dall’art. 63,co. 1 e Allegato IV, par. 1.11.2.4 D.Lgs. 81/2000 , dalla quale deriva la configurabilità della contravvenzione p.e p. dall’art. 64, co. 1 lett. a) D.Lgs. 81/2000.
Rinviato a giudizio, veniva condannato dal Tribunale di Prato alla pena di 2.000 euro di ammenda.
In primo grado la difesa dell’imputato invocava l’applicazione della particolare tenuità del fatto, causa di non punibilità in senso stretto prevista ai sensi dell’art. 131-bis c.p. .
Le sollecitazioni di parte, tuttavia, non persuadevano il Tribunale che escludeva l’applicazione del beneficio deducendo che l’imputato, pur avendo eliminato la violazione rilevata in sede di accesso ispettivo, non aveva pagato l’oblazione senza una valida ragione.
Stante inoltre l’effettiva lesione o messa in pericolo dell’incolumità dei lavoratori posta in essere, il fatto commesso non avrebbe potuto configurarsi come “tenue” ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
Avverso la sentenza insorgeva il Sig. H.Q. articolando due motivi incentrati sulla mancata applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto.
Secondo la difesa dell’imputato il Tribunale aveva erroneamente valutato, come elemento ostativo all’applicazione della causa di non punibilità, una condotta successiva alla commissione del fatto (il mancato pagamento dell’oblazione) che, tuttavia, è aspetto estraneo alla sfera di operatività dell’art. 131-bis c.p.
Pur volendo considerare rilevante la condotta post-delictum di H.Q., in ogni caso, il giudice avrebbe quantomeno dovuto valutare l’intervenuta eliminazione delle violazioni accertate dagli organi ispettivi.
In definitiva il Tribunale non aveva preso in considerazione tutti gli elementi del caso concreto.
3. La particolare tenuità del fatto.
L’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. – introdotto dal legislatore con il d.lgs. n. 28 del 2015 – prevede la non punibilità di fatti offensivi, ma particolarmente tenui.
Rappresenta un istituto sostanziale assimilabile a una causa di non punibilità in senso stretto (Cass. pen., Sez. Un. del 6.04.2016 Tushaj).
Integra un’ipotesi di depenalizzazione in concreto e non di autentica abolitio criminis, per cui il fatto resta tipico e offensivo, antigiuridico e colpevole ma non punibile.
Sottende anche una ratio processualistica deflattiva, ma prevale una finalità sostanzialistica ispirata ai principi di proporzionalità e sussidiarietà per la quale il fatto anche se meritevole di pena non è bisognoso di pena.
Il fatto particolarmente tenue è di per sé meritevole di pena perché in concreto offensivo (altrimenti sarebbe reato impossibile ex art. 49 co 2 c.p. , ma non sempre un fatto meritevole di pena è bisognoso di pena perché talvolta può non essere in linea con le funzioni generalpreventive e specialpreventive della sanzione penale.
In questo caso il fatto meritevole di pena (perché offensivo) non necessita della pena per una scelta di politica criminale del legislatore in quanto manifesta un grado di offensività in concreto particolarmente tenue ex art. 131-bis c.p. e quindi la pena non riesce ad assolvere la funzione di prevenzione generale e speciale.
Gli indici di particolare tenuità che il giudice deve tenere in considerazione due indici che devono sussistere congiuntamente: la particolare tenuità e la non abitualità.
Pur in assenza di un’esplicita gerarchia fra i due, tuttavia, il presupposto relativo all’offesa è da ritenersi l’elemento fondante la particolare tenuità, mentre il requisito della non abitualità del comportamento sottende la volontà del legislatore di prendere in considerazione esigenze di prevenzione speciale in funzione delimitativa dell’operatività dell’istituto.
Per quanto di interesse ai fini della presente analisi la particolare tenuità deve essere valutata in base alle modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo arrecati al bene giuridico tutelato.
L’art. 131-bis c.p. richiama come parametro per accertare la tenuità dell’offesa gli elementi citati dall’art. 133, co 1, c.p. e cioè il contesto dell’azione, le modalità esecutive della condotta, i tempi di esecuzione della condotta, i mezzi, l’oggetto, il luogo, l’elemento psicologico (l’intensità del dolo, il grado della colpa) e l’entità del danno o del pericolo cagionato dall’azione illecita.
Nella sua versione originaria non rilevavano, invece, gli elementi menzionati dall’art. 133 co 2 c.p. ossia la condotta antecedente o successiva al reato (il risarcimento), i motivi a delinquere e il carattere del reo.
La giurisprudenza aveva quindi escluso la rilevanza di tale condotta imponendo al giudice di valutare la misura dell’offesa al momento di consumazione del reato (cfr. Cass. pen., Sez. V, del 02.12.2019 n. 660).
Il legislatore è intervenuto con la riforma Cartabia e, modificando l’art. 131-bis co. 1 c.p., ha introdotto il seguente inciso “anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
4. La decisione
La Corte di Cassazione, Sez III, con sent. del 04.04.2023, n. 18029 accoglie il ricorso in quanto la motivazione della sentenza del Tribunale di Prato scontava una motivazione manifestamente illogica.
In primo luogo, infatti, il mancato pagamento dell’oblazione – fatto che di per sé avrebbe addirittura estinto il reato – non è certo elemento conferente ai fini della valutazione della gravità dell’offesa.
Inoltre la lesione o messa in pericolo del bene tutelato costituisce la condicio sine qua non di qualsiasi illecito penale in quanto non vi è reato senza offesa o messa in pericolo del bene giuridico.
Posto che la particolare tenuità postula l’esistenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ma che il legislatore ritiene non meritevole di sanzione in ragione dell’esiguità dell’offesa, ragionando in tali termini si determinerebbe la tacita abrogazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p.
Orbene la Corte chiarisce un ulteriore punto che era stato oggetto di censura da parte del ricorrente: la rilevanza della condotta post-delictum ai fini dell’operatività della particolare tenuità.
Come noto l’art. 131-bis c.p. è stato novellato dall’art. 1, co. 1 lett. c) n. 2 D.Lgs. 150/2022 , a decorrere dal 30 dicembre 2022.
Le novità introdotte si colgono in una triplice direzione:
1) l’estensione dell’ambito applicativo dell’istituto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni di reclusione e, quindi, indipendentemente dal massimo edittale (come invece previsto dalla previgente formulazione);
2) la rilevanza, ai fini della valutazione di particolare tenuità, anche della condotta susseguente al reato;
3) l’esclusione del carattere di particolare tenuità dell’offesa in relazione ai reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza delle donne e la violenza domestica fatta ad Istanbul l’11.05.2011 e ad ulteriori reati di particolare gravità.
Le prime due novità – essendo idonea da ampliare la portata di un istituto più favorevole (una causa di non punibilità) – si applicano retroattivamente in forza dell’art. 2, co. 4 c.p. .
Ciò premesso la condotta “susseguente al reato”, anche rispetto ai fatti commessi prima del 30 dicembre 2022 – salvo sia già intervenuto il giudicato – rileva sulla valutazione di gravità dell’offesa.
Stante la formulazione elastica del concetto di “condotta susseguente al reato” il giudice gode di ampia discrezionalità potendo valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale dovendo essere comunque susseguenti al reato e naturalmente in grado di incidere sulla misura dell’offesa.
Ciò vale inoltre sia per le condotte post-delictum che riducano il grado dell’offesa (le restituzioni, il risarcimento, il ripristino dello stato dei luoghi, l’accesso a programmi di giustizia riparativa o, come nel caso in esame, l’intervenuta eliminazione delle violazioni accertate degli organi ispettivi), ma anche, specularmente, quelle che aggravino la lesione inizialmente “tenue” del bene protetto, determinando l’esclusione della causa di non punibilità.
La Corte tuttavia chiarisce che la condotta post-delictum resta uno – ma non certamente l’unico né il principale – degli elementi che il giudice deve apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l’offesa, accanto a quelli contemplati dall’art. 133, co. 1 c.p. .
Ciò significa che le condotte post-delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorte di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta.
Per tutto quanto appena esposto la Cassazione avrebbe dovuto annullare la sentenza limitatamente alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. con rinvio al Tribunale di Prato.
Essendo, tuttavia, maturata la prescrizione la Corte – richiamando la uniforme giurisprudenza secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, cosicché la sentenza impugnata è annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
I Giudici rilevano, infatti, che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l’imputato, mentre la seconda lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica