Sommario: 1. Massima – 2. Il caso – 3. Le servitù di parcheggio. 4. La decisione. 5. Osservazioni conclusive.
1. Massima
La facoltà di parcheggiare il proprio autoveicolo sul fondo altrui può costituire un diritto di servitù prediale.
Riconosciuta la realità di tale situazione giuridica il suo titolare può agire con le azioni possessorie per tutelarsi da eventuali spossessamenti preclusivi del suo accesso e parcheggio sul fondo altrui.
2. Il caso2
I coniugi R.E. e S.F. agivano in giudizio contro i vicini di casa che, mediante una sbarra meccanica, avevano impedito l’accesso ad un fondo adibito a cortile e parcheggio condominiale.
Avverso il suddetto spoglio proponevano dunque azione di reintegrazione ai sensi dell’art. 1168 c.c. .
Il Tribunale di Grosseto accoglieva la domanda condannando i convenuti alla reintegrazione degli attori nel possesso del cortile, previa rimozione del manufatto (oltre alla refusione delle spese).
Avverso la sentenza insorgevano gli eredi dei convenuti innanzi alla Corte d’appello di Firenze.
Quest’ultima, dichiarata la cessazione della materia del contendere (in quanto la sbarra era già stata rimossa a seguito di altro giudizio intentato da altri condomini), accoglieva parzialmente i motivi di appello negando l’esistenza di un diritto reale di servitù (di parcheggio) sul fondo, dato che per tale dichiarazione sarebbe stato necessario che l’esercizio del diritto di parcheggio fosse stato “continuato e consentito” (circostanze che non parevano essere presenti nel caso di specie
Con la sentenza di appello, quindi, veniva confermato esclusivamente il diritto personale dei coniugi ad accedere e transitare sul fondo.
Alla luce della ambiguità della decisione d’appello, i coniugi R.E. e S.F. impugnavano la sentenza proponendo ricorso in Cassazione.
Il ricorso, sostanzialmente era incentrato sull’errore commesso dalla Corte d’appello nel riconoscere come la posizione degli attori avesse un valore di solo di diritto di transito veicolare (obbligatorio) e non come diritto reale costituito da una servitù di parcheggio.
3. Le servitù di parcheggio.
La natura della situazione giuridica (diritto reale o diritto obbligatorio) di colui che rivendica il diritto di parcheggiare su un fondo altrui – oggetto della presente analisi – è una tematica arata per anni dalla giurisprudenza che, nel tempo, ha elaborato diverse soluzioni interpretative.
E’ evidente che, a seconda della soluzione che si intende accogliere, sussistono diverse ricadute applicative, tra cui l’applicazione della disciplina dei diritti reali/obbligatori e, in particolare, la possibilità di costituire sul bene un possesso ad usucapionem o vantare, a tutela del diritto, le azioni reali/personali.
La difficoltà intrinseca della questione è legata al fatto che la distinzione tra diritti reali ed obbligatori – che apparentemente sembra netta e di facile individuazione – inizia a sfumare quando si confronta con i c.d. diritti reali di godimento (tra cui rientra il diritto di servitù prediale ex art. 1027 c.c. in quanto gli stessi, pur essendo diritti reali (a tutti gli effetti), vivono alcuni “momenti” obbligatori.
Ciò posto la posizione giuridica di chi parcheggia sul fondo altrui, secondo l’orientamento tradizionale, equivale a un diritto obbligatorio di servitù irregolare.
Se quindi le parti lo hanno inteso come diritto reale, il contratto è nullo per impossibilità dell’oggetto.
A parere dello scrivente più che una nullità per impossibilità dell’oggetto verrebbe in essere una nullità per violazione di norme imperative e in particolare del principio di tipicità dei diritti reali.
In ogni caso la giurisprudenza fa comunque salva la possibilità di conversione del contratto in un’operazione negoziale avente ad oggetto la costituzione di un diverso diritto obbligatorio (cfr. art. 1424 c.c. ).
Questa ricostruzione, che la giurisprudenza consolidata ha portato avanti nel corso del tempo e che non è stata mai del tutto abbandonata (cfr. da ultima Cass. civ. n. 40824/2021), si basa sulle seguenti considerazioni: “il parcheggio di autovetture non è estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù perché ciò che difetta è la realitas dell’istituto, manca l’inerenza al fondo dominante dell’utilità (che ha duplice rilievo) e, nello stesso tempo, manca l’inerenza al fondo servente del peso” (cfr. Cass. civ., n. 23708/2014).
In altre parole, la mera comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone non può mai ed in alcun modo integrare gli estremi dell’utilità inerente al fondo stesso, risolvendo, in realtà, in un vantaggio del tutto personale dei proprietari.
In assenza, quindi, di tali presupposti, la servitù di parcheggio non può essere assimilata al diritto di servitù prediale perché ha connotati atipici contrastando con il principio di tipicità e numerus clausus dei diritti reali (sulla cui esistenza ormai non sorgono più dubbi dopo gli interventi della Corte di Cassazione civ., Sez. Un. nn. 8434, 28972 e 23902/2020).
Su queste basi la Corte di legittimità, in termini perentori, ha affermato la natura di diritto obbligatorio (personale di godimento) della servitù di parcheggio dichiarando nullo per impossibilità dell’oggetto il contratto con cui le parti avevano inteso costituire un diritto reale, fatta salva la conversione in un contratto obbligatorio valido, ai sensi dell’art. 1424 c.c.
Da ciò deriva che, in punto di tutela, il titolare del diritto di parcheggio non può far valere le azioni reali, ma può difendersi nei confronti di chi viola questo diritto, eventualmente, con il risarcimento del danno.
Questa ricostruzione, tuttavia, è stata successivamente superata da una parte della recente giurisprudenza (cfr. Corte di Cassazione n. 16698/2017 e 7561/2019).
Secondo la nuova impostazione della Corte di legittimità – pur non potendo riconoscere perentoriamente la natura di servitù prediale del diritto di parcheggiare su fondo altrui – va dato atto che le valutazioni fatte dalla giurisprudenza tradizionale si erano espresse in modo conforme (nel negarlo) solo per effetto della particolare conformazione delle clausole utilizzate nel contratto che avevano dimostrato la volontà delle parti di allontanarsi nettamente dalle caratteristiche essenziali del diritto reale di servitù.
Ciò tuttavia, secondo la Corte, non escluderebbe in nuce la possibilità di configurare una servitù reale di parcheggio laddove ricorra, nel caso concreto, il concetto di utilitas individuato dall’art. 1028 c.c. .
Anche se il concetto di utilitas che si ricava dalla suddetta disposizione è piuttosto ampio, affinché si possa parlare di realità – che è una connotazione viscerale attinente al fondo – è fondamentale, infatti, che ci sia un legame strumentale ed obiettivo, diretto ed immediato, tra il peso imposto al fondo servente e l’utilità del fondo dominate.
Per individuare l’utilità, secondo la Corte, si deve dunque provare che la servitù sia tale da incrementare l’utilizzazione del fondo dominante e non la sfera giuridica del suo specifico proprietario.
In altre parole da quel diritto di parcheggiare deve poter essere conseguito un incremento di utilizzo oggettivo che possa ricadere in capo a qualunque eventuale proprietario del fondo.
Per condurre tale indagine il giudice deve verificare il titolo e la concreta destinazione del fondo.
Se, infatti, quest’ultimo ha destinazione abitativa, è molto probabile che l’utilitas sia attribuita al fondo perché la facoltà di parcheggiare l’auto (ceduta dal proprietario del fondo servente al proprietario del fondo dominate) incrementi oggettivamente l’utilità dell’area e sia un vantaggio utilizzabile da qualsiasi soggetto che vive in quell’abitazione.
Altro indizio è la localizzazione del parcheggio (la vicinitas) in quanto se si trova nelle immediate prossimità dell’edificio, ci sono buone ragioni per pensare a una servitù di parcheggio.
Se, invece, mancano questi presupposto, è probabile che le parti possano costituire un mero diritto personale di carattere obbligatorio.
Quindi, la Cassazione nel 2017 e 2019 ritiene compatibile la servitù di parcheggio con i diritti reali, laddove ciò sia verificato in concreto dal giudice.
4. La decisione
Ciò premesso, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza oggetto di analisi, n. 7620 del 2023, accoglie il ricorso dei coniugi dichiarando espressamente di voler dare continuità al filone giurisprudenziale che ritiene configurabile, in linea di principio e previo accertamento delle circostanze di fatto, una servitù prediale di parcheggio.
I Giudici di legittimità, infatti, precisano che la Corte d’appello di Firenze aveva basato la propria decisione, su un orientamento giurisprudenziale risalente e ormai superato.
Il più moderno orientamento giurisprudenziale – che deve essere, invece, seguito nel caso di specie – prevede che lo schema di cui all’art. 1027 c.c. sia applicabile alla costituzione di un diritto di servitù di parcheggio nell’ottica del quale un fondo possa avere una maggiore utilitas nel diritto di parcheggiare su un fondo (servente) attiguo.
Non è quindi preclusa la costituzione di una servitù di parcheggio su fondo altrui, a condizione che, avendo contezza della situazione concreta, tale facoltà costituisca un maggiore favore per un fondo a vantaggio di un altro.
Una volta presente tale diritto reale, allora il soggetto titolare può ben agire con azione di reintegrazione ai sensi dell’art. 1168 c.c. per tutelarsi da eventuali spossessamenti preclusivi del suo accesso e parcheggio sul fondo altrui.
La Corte d’appello avrebbe quindi errato nel non riconoscere la natura reale del diritto di parcheggio, essendo rilevanti solo gli elementi fattuali della vicenda e non elementi soggettivi quali l’esercizio “continuato e consentito”, che afferivano al riconoscimento di diritti personali, e non ad una servitù a carattere reale.
La Corte aggiunge, altresì, che il riconoscimento dell’elemento di realità avrebbe consentito agli attori di legare il diritto di parcheggio al fondo e trasmetterlo così ad eventuali eredi o aventi causa.
In ragione di tali argomentazioni, cassa la decisione di appello e rinvia il giudizio al merito, perché venisse nuovamente giudicato dal giudice del riesame sulla base dei predetti principi giuridici e avendo contezza della citata, più recente, giurisprudenza.
5. Osservazioni conclusive.
A parere dello scrivente la questione della natura giuridica della servitù di parcheggio potrebbe dirsi ormai risolta.
Pur non potendo celare il precedente contrario del 2021, rimasto tuttavia isolato, l’orientamento tradizionale che esclude perentoriamente la realità del diritto di servitù di parcheggio sembra ormai totalmente superato dalla pronunce intervenute negli ultimi anni.
Sul punto tuttavia la Prima Presidente della Cassazione, con decreto del 30.03.2023, ha riscontrato un perdurante contrasto interpretativo per cui ha rimesso alle Sez. Unite l’annosa questione della possibilità o meno di costituire servitù di parcheggio.
Sarà quindi nuovamente la Cassazione, questa volta a composizione riunita, a risolvere la questione.