Dott. Lia Chiarenza

La condotta di coltivazione di talune sostanze stupefacenti è vietata ai sensi degli art. 26 e 28 D.p.r. 309/1990 – T.U. Stupefacenti .

Trattasi di un reato di pericolo astratto in cui il giudizio di pericolosità relativo al bene giuridico salute ivi tutelato è compiuto a monte dal legislatore, comportando una anticipazione della tutela penale.

Ciò nonostante, come vedremo, parte della giurisprudenza di merito e di legittimità ha compiuto una vera e propria valutazione sulla offensività della condotta in concreto.

È stata cura di taluni giudici quella di verificare in concreto se le sostanze prodotte dalla coltivazione potessero effettivamente porre in pericolo il bene salute.

Sin dall’entrata in vigore del T.U., gli interpreti si sono chiesti se anche la condotta di coltivazione di sostanze destinate al solo uso personale potesse essere penalmente rilevante atteso che la condotta di detenzione per uso personale è punita con una sanzione amministrativa.

In tanti hanno ravvisato una disparità di trattamento a livello sanzionatorio, poiché la coltivazione anche se domestica è sempre punibile; mentre la detenzione penalmente rilevante è soltanto quella destinata allo spaccio, secondo quanto stabilito dall’art. 73 TU Stupefacenti .

La Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che – ex multis Corte Cost. 333/1991 – la condotta di coltivazione anche domestica è una condotta tipica, pur dovendosi verificare se in concreto il prodotto della coltivazione possa effettivamente porre in pericolo il bene giuridico tutelato.

Non si è mai dubitato della tipicità della condotta perché a differenza della detenzione, in cui è più facile capire in base alle quantità possedute se le sostanze siano destinate o meno allo spaccio; la coltivazione già potenzialmente può produrre una quantità di sostanze inevitabilmente destinate allo spaccio, apparendo di conseguenza più pericolosa nei riguardi del bene giuridico tutelato.

Sul punto si sono contrapposti due orientamenti che hanno condotto alla rimessione della questione alle Sezioni Unite, poi pronunciatesi con sentenza n. 12348/2020 .

Secondo il primo orientamento, la coltivazione anche in forma domestica è sempre punita se la pianta è conforme al tipo botanico previsto dalle tabelle ministeriali, a prescindere dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza.

Quindi la condotta è penalmente rilevante anche se poi, nel momento in cui si rinviene la piantagione, non è possibile accertare il principio attivo drogante, purché la pianta sia conforme al tipo botanico – ex multis Cass. n. 53337/2016.

Per la seconda linea interpretativa, invece, non basterebbe la mera conformità della pianta al tipo botanico, essendo necessario verificare in concreto se il prodotto della coltivazione possa porre in pericolo la salute pubblica ed ampliare l’offerta nel mercato dello spaccio (Cass. 36037/2017).

I due orientamenti danno per pacifica la tipicità della condotta di coltivazione domestica, differenziandosi solo per il controllo di offensività in concreto del risultato di essa.

Le SS.UU. penali della Cassazione  mutano prospettiva, determinando una vera e propria rivoluzione copernicana sul tema.

Si sposta il fulcro d’indagine, atteso che questa non può riguardare soltanto l’offensività della condotta ma richiede a monte la verifica sulla sua tipicità.

In altri termini, prima ancora di chiedersi se la pianta abbia prodotto delle sostanze idonee a porre in pericolo la salute pubblica, occorre accertare se per le modalità con cui è stata posta in essere la coltivazione, la condotta possa essere sussunta in termini di tipicità nelle norme incriminatrici del T.U.

Quindi, prima ancora di capire se la coltivazione domestica possa essere offensiva nei riguardi del bene salute, occorre verificare che la stessa tipica ai sensi dell’art. 26 del T.U. Stupefacenti .

Sul piano teorico si distingue a monte tra condotte non tipiche e condotte tipiche ma non offensive: di conseguenza, nel primo caso il fatto non sussiste perché non rientra nell’area penalmente rilevante individuata dalla norma; nel secondo caso si avrà reato impossibile.

La soluzione adottata dalle S.U. compendia i risultati cui è pervenuta la giurisprudenza, anche costituzionale, degli ultimi anni, affermando che il reato di coltivazione è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico vietato dalla legge.

Tuttavia, per la prima volta esclude la rilevanza penale della condotta di coltivazione domestica di minime dimensioni se “per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del consumatore”.

In definitiva, se la condotta di coltivazione rientra in quella descritta dalle norme del T.U. e quindi si tratta della coltivazione agro industriale di grandi dimensioni, occorrerà verificare la conformità della pianta al tipo botanico vietato dalla legge, a nulla rilevando la quantità di principio attivo immediatamente ricavabile.

Se, invece, si tratta di una coltivazione domestica, di minime dimensioni, siamo al di fuori della condotta descritta dalle norme e quindi non si pone neanche un problema di offensività della condotta perché non è tipica.

È evidente come sia mutata la prospettiva della questione, dovendosi distinguere tra coltivazione domestica e coltivazione industriale sul piano della tipicità.

La coltivazione pone in pericolo la salute pubblica solo se è di grandi dimensioni ed è espletata in un certo modo, proprio perché da essa deriveranno nuove sostanze e in quantità non indifferenti, inevitabilmente destinate ad incrementare il mercato dello spaccio.

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