Una delle battaglie a cui l’essere umano da sempre tende è quella di addivenire ad una concreta uguaglianza di tutti gli uomini (indifferentemente intesi) dinanzi alla legge.
Verso tale miraggio, sembra muoversi di recente la Suprema Corte di Cassazione , la quale con apposita Ordinanza del 2 novembre 2021 n. 31071 si è pronunciata sull’importante ed alquanto delicata tematica della risarcibilità del danno in ipotesi di discriminazione sul luogo di lavoro.
È risarcibile il danno da mancata assunzione lavorativa motivata dall’orientamento sessuale della docente? O meglio ancora: è risarcibile un danno non patrimoniale da discriminazione da orientamento sessuale?
L’ordinanza in commento risponde in senso positivo rigettando il ricorso proposto da un istituto religioso avverso la sentenza del giudice di gravame, il quale aveva concluso nel senso della sussistenza della discriminazione sulla base del dato soggettivo dell’ orientamento sessuale.
L’istituto ricorrente in Cassazione adduceva, a sua discolpa che la condotta serbata nei confronti della giovane candidata in ordine alla mancata assunzione, fosse dipesa esclusivamente da ragioni inerenti le regole organizzative dell’istituto medesimo.
Con detta ordinanza, però. la giurisprudenza di legittimità, confermando l’arresto della Corte di Appello di Trento, ha ritenuto che la libertà di organizzazione dell’istituto non può legittimare condotte decisamente discriminatorie e lesive della dignità umana quali appunto quelle relative alla mancata assunzione lavorativa.
La Suprema Corte, nel confermare la sentenza di Appello, ha stabilito che, l’insegnante ha subito la lesione di un diritto costituzionalmente garantito – ossia il diritto alla non discriminazione sessuale (art 2 e 3 della Costituzione) – ed è proprio tale circostanza che giustifica la condanna dell’Istituto danneggiante al risarcimento del danno non patrimoniale in suo favore.