Il 12 giugno dalle ore 7.00 alle ore 23.00, i cittadini italiani con più di 18 anni di età saranno chiamati a votare per il referendum abrogativo sulla giustizia , diviso in 5 quesiti, promosso dalla Lega e dal Partito Radicale.
Facciamo una piccola premessa: che cos’è un referendum abrogativo?
E’ un istituto previsto normativamente dalla Carta Costituzionale ex art. 75 in base al quale è indetto referendum popolare per deliberare l’ abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli Regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.
Ciò significa che un referendum abrogativo per poter essere valido deve raggiungere il cosiddetto “quorum”, ossia deve votare almeno il 50 % degli aventi diritto. Stiamo parlando di circa 26 milioni di votanti, su un totale di 51 milioni di elettori.
I 5 quesiti referendari saranno divisi per schede e colori:
-Quesito numero 1, scheda Rossa, avente ad oggetto l’abolizione della legge Severino
-Quesito numero 2, scheda Arancione, con oggetto l’abolizione delle misure cautelari per il pericolo di reiterazione del reato
-Quesito numero 3, scheda Gialla, riguardante l’introduzione della separazione delle carriere per i magistrati
-Quesito numero 4, scheda Grigia, per l’introduzione del voto degli avvocati e dei professori universitari sull’operato dei magistrati
-Quesito numero 5, scheda Verde, per l’abolizione delle 25 firme a sostegno della candidatura al CSM.
Uno dei quesiti che desta maggiore perplessità e titubanza è quello riguardante la Legge Severino.
Che cosa prevede la legge Severino?
Il decreto legislativo che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna.
Ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione. Per coloro che sono in carica in un ente territoriale basta anche una condanna in primo grado non definitiva per l’attuazione della sospensione, che può durare per un periodo massimo di 18 mesi.
Dati alla mano è stato dimostrato che nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita privata.
Il quesito referendario verrà così proposto:
«Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?».
Che cosa succede se vince il SI? Con il sì viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo: si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.
Altrettanto dibattuto e fortemente voluta è l’abrogazione delle misure cautelari . La ragione posta a fondamento di questo profondo cambiamento risiede nel fatto che in base alle attuali esigenze cautelari che prevedono la custodia in carcere per il pericolo della reiterazione del reato, sono stati tantissimi i casi in cui, dopo la carcerazione, i soggetti ad essa, sono stati dichiarati innocenti.
Basti pensare che dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.452 casi di persone incarcerate e poi reputate innocenti. Non a caso l’Italia è il quinto paese dell’UE con il più alto tasso di detenuti in custodia in cautelare.
Un impatto non solo socialmente negativo per le persone coinvolte ma anche di forte impatto economico per il Paese a causa degli indennizzi per l’erronea applicazione della misura: solo nel 2020 sono stati 750 i casi di ingiusta detenzione, costati 37 milioni di euro a titolo di risarcimento.