Dott. Lia Chiarenza

Il danno da perdita di chance, elaborato dalla giurisprudenza nel silenzio di una definizione normativa, consiste nella perdita della possibilità di conseguire un risultato utile ed è riconducibile alle ipotesi di danno consequenziale ad un illecito contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. o aquiliano ai sensi dell’art. 2043 c.c.

La giurisprudenza e la dottrina hanno da sempre attribuito al danno de quo natura patrimoniale, escludendo inizialmente la configurabilità di una chance non patrimoniale rimanendo dubbia la sola classificazione in termini di danno emergente o lucro cessante.

A tal proposito, sono state elaborate due teorie, una c.d. ontologica e l’altra eziologica. Secondo la teoria ontologica, la perdita di chance consiste nella perdita della possibilità di conseguire un risultato utile come perdita di un bene giuridico facente parte del patrimonio del danneggiato: ne consegue che esso sarà risarcibile quale danno emergente, una volta assolto l’onere di provarne l’effettiva esistenza. In altri termini, trattasi di un bene che si è perso a causa dell’illecito e come tale deve essere reintegrato nel patrimonio. La teoria eziologica, invece, riconduce il danno da perdita di chance nell’ambito del lucro cessante qualificandolo come danno da occasione persa. Il danneggiato potrà auspicarne il risarcimento qualora provi che, in assenza dell’azione lesiva, avrebbe conseguito quel risultato utile cui ambiva. Le due teorie prospettano due differenti accezioni del danno da perdita di chance: se nel primo caso il danneggiato mira a ottenere il risarcimento della possibilità di conseguire un risultato utile o vantaggioso, nel secondo il danno da risarcire sarà quello patito per non avere conseguito quel determinato risultato.

Il danno de quo, quale danno conseguenza, presuppone la verificazione di un evento lesivo che sia eziologicamente connesso ad una condotta commissiva od omissiva colpevole del danneggiante. Nell’ambito del giudizio civile, il nesso di causalità tra condotta ed evento lesivo e tra questo e il danno consequenziale è provato alla stregua del canone del “più probabile che non” o della probabilità percentuale del 50% più uno, cosicché potrà dirsi che con elevata probabilità quell’evento lesivo sia conseguito a quella precisa condotta.

La circostanza per cui con elevata probabilità sussiste il nesso eziologico tra condotta ed evento e tra questo e il danno, ha inevitabilmente comportato la sovrapposizione tra la probabilità di cui al giudizio causale e quella che connota il danno da perdita di chance.

La giurisprudenza più recente ha chiarito come i due giudizi non possano sovrapporsi atteso che la sussistenza del nesso di causalità, tanto materiale quanto giuridica, è un presupposto indefettibile ai fini dell’accertamento del danno patito.

Il danno da perdita di chance, come detto sopra, avrebbe in linea di principio natura patrimoniale, anche se in taluni ambiti si sono mostrate aperture verso la sua configurabilità in termini di danno non patrimoniale, previsto dall’art. 2059 c.c. In ambito sanitario, specie nelle ipotesi di risarcimento del danno patito per lesioni o morte derivanti da attività imperita del medico, il danno da perdita di chance ha assunto connotati peculiari: ora come danno da mancato miglioramento delle condizioni di salute e di vita, ora come danno da perdita del rapporto parentale, ora come mancato godimento di un ulteriore periodo di vita in caso di malattie terminali.

La chance non patrimoniale consisterebbe nella possibilità, prima sperata e poi persa a seguito dell’intervento nefasto del sanitario, circa il miglioramento delle condizioni del paziente, innestata su una situazione patologica. In questo caso, il paziente non mira alla conservazione di una situazione positiva ma al miglioramento di una situazione negativa. Qualora la probabilità di miglioramento sia ancorata a dati certi ed obiettivi, e soprattutto preesista all’evento, atteso che il paziente auspica la conservazione di uno status positivo, si potrà discorrere di chance patrimoniale. Ciò che assume valore dirimente ai fini della connotazione della chance è quindi la situazione preesistente all’evento foriero di danno, ossia una situazione di natura positiva configurerà una chance patrimoniale, negativa non patrimoniale. La diversità è prima di tutto di tipo funzionale, atteso che l’entità dell’incertezza circa il conseguimento del risultato sperato incide sulla identificazione del danno, se patrimoniale o non patrimoniale.

In entrambe le ipotesi sarà necessario provare la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento lesivo e le conseguenze pregiudizievoli patite, senza scadere in erronee sovrapposizioni tra il giudizio di probabilità causale e di possibilità del risultato realizzabile.

Il danno da perdita di chance dunque presenta una fisionomia variabile in quanto di creazione giurisprudenziale e come tale soggetta ai suoi mutamenti. Ne è prova la circostanza per cui stenta a chiarirsi la sua collocazione in termini di danno emergente o lucro cessante, se di natura patrimoniale, nonché la connotazione non patrimoniale della stessa, ad oggi riconosciuta solo in specifiche ipotesi riconducibili alla responsabilità del sanitario.

 

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