Sommario: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La decisione – 4. Furto d’auto e aggravante dell’esposizione a pubblica fede – 5. Osservazioni conclusive
1.Massima
Non sussiste l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede prevista per il delitto di furto quando l’azione delittuosa è diretta a cose che si trovano all’interno dell’autovettura, ma non ne costituiscono normale dotazione ovvero sono di immediato e facile asporto per il proprietario.
Qualora, tuttavia, non siano emersi elementi chiari da cui desumere che il soggetto non intenda impossessarsi dell’autovettura stessa, la fattispecie va comunque ricondotta all’aggravante di cui all’art. 624, co.1 n. 7 c.p.
2.Il caso
I Sig.ri A.G. e V.M., rompendo i cristalli dell’autovettura e utilizzando un cacciavite, tentavano di impossessarsi dell’automobile del Sig. B.M. parcheggiata su pubblica via e chiusa regolarmente a chiave.
A causa dell’intervento tempestivo delle forze dell’ordine, iniziavano un lungo inseguimento terminato però con il loro arresto.
Il Tribunale di Foggia, a seguito di giudizio abbreviato, condannava gli imputati alla pena di quattro mesi di reclusione ed euro 200,00 di multa per il reato di tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esposizione a pubblica fede, ai sensi degli artt. 56, 110, 624 e 625 n. 2 e n. 7 c.p. .
La condanna veniva poi confermata in grado di appello.
Avverso la sentenza ricorreva per Cassazione il prevenuto Sig. A.G. contestando, in particolare, l’errata applicazione dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede.
Secondo la prospettazione difensiva, in giudizio non era emersa alcuna prova certa del fatto che la condotta delittuosa del ricorrente fosse stata volta all’impossessamento dell’automobile e non degli oggetti presenti al suo interno.
Come noto infatti l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non sussiste qualora il furto è rivolto a cose poste all’interno dell’autovettura che non ne costituiscono normale dotazione ovvero che siano di immediato e facile asporto per il proprietario.
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3.La decisione
La Corte di Cassazione, con sent. n. 11527/2023 , rileva, innanzitutto, l’inammissibilità dei motivi di ricorso in quanto, riproponendo le medesime doglianze già sollevate in appello, sollecitavano una rivalutazione del fatto non censurabile in sede di legittimità.
Conferma inoltre la legittimità dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato deducendo che, nonostante per giurisprudenza costante l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non sussiste quando il soggetto vuole impossessarsi di cose poste all’interno dell’autovettura che non ne costituiscono normale dotazione ovvero siano di facile asporto per il proprietario, nel caso di specie, non era emerso alcun elemento da cui desumere che l’oggetto della condotta penalmente rilevante fosse qualcosa di diverso dall’automobile stessa.
Per questi motivi respinge il gravame e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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4. Furto d’auto e aggravante dell’esposizione a pubblica fede
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla vexata quaestio della configurabilità dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede in caso di furto di autoveicoli.
Occorre premettere che, per pubblica fede deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui in cui confida chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita.
La ratio della maggiore offensività di suddetta aggravante è legata alla minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione in cui versa il bene esposto alla pubblica fede in quanto posti fuori dalla sfera di diretta vigilanza del suo titolare o personale addetto, confidando quindi nella onestà altrui.
Come noto ormai la giurisprudenza applica la suddetta aggravante in caso di furto di autovetture parcheggiate su pubblica via ancorché chiuse regolarmente a chiave.
Detto accorgimento, infatti, secondo la giurisprudenza prevalente, non costituisce un grave ostacolo all’azione furtiva.
L’aggravante può essere, invece, esclusa in presenza di un sistema di sorveglianza particolarmente sofisticato o quando l’automobile è sotto la stretta sorveglianza del proprietario.
Sul punto si registrano, in ogni caso, orientamenti più restrittivi secondo cui è l’aggravante è configurabile anche in presenza di un sistema di videosorveglianza o quando l’automobile risulti parcheggiata di fronte all’abitazione del proprietario (cfr. Cass. pen., n. 35400/2019).
La Cassazione (cfr. Cass. pen., n. 21070/2022), inoltre, valorizzando il contegno della vittima, nel rispetto del principio di autoresponsabilità, ritiene che, laddove la stessa lasci il veicolo aperto, per valutare l’applicazione dell’aggravante, bisogna analizzare le circostanze del caso concreto.
a) L’aggravante sussiste se il comportamento è dovuto a una consuetudine o necessità della vittima.
b) Se invece la scelta è stata frutto di mera disattenzione, comodità o trascuratezza, l’aggravante non è configurabile.
Ciò posto giurisprudenza, ormai costante, riconosce l’aggravante anche all’azione diretta a impossessarsi di cose che sono all’interno della autovettura.
Sul punto bisogna, però, registrare un contrasto interpretativo in quanto:
1- Secondo una prima tesi, più restrittiva, l’aggravante si riconosce solo al furto di oggetti che sono parte integrante del veicolo o sono destinati al suo servizio o al suo ornamento.
2- Per una diversa tesi ormai maggioritaria (ex multis, cfr. da ultima, Cass. n. 21837/2022), invece, l’aggravante si manifesta anche rispetto al furto degli oggetti che rappresentano meri accessori dell’automobile e non sono facilmente trasportabili o che comunque – pur non costituendone una parte essenziale – ne sono normale dotazione (il caricabatterie del telefono) e non possono essere portate con sé dal proprietario quando si allontana lasciando il veicolo incustodito (borse, gioielli, occhiali, fotocamere, mazzi di chiavi).
Tale orientamento è stato ritenuto “maggiormente attento agli elementi specifici che influenzano il concetto di esposizione a pubblica fede normativamente previsto, più aderente alla attuale realtà storico-sociale e meglio rispondente alla ratio dell’aggravamento previsto dall’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., e cioè la volontà del legislatore di apprestare una più energica tutela penale alle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per “necessità” o per “consuetudine” e che, perciò, possono essere più facilmente sottratte”.
In altre parole, “poiché per pubblica fede deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui in cui confida chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita, tale speciale valutazione di gravità deve essere estesa anche a quei beni che in tale condizione di esposizione alla pubblica fede si trovino in ragione di impellenti bisogni della vita quotidiana ai quali l’offeso è chiamato a far fronte; bisogni non soltanto di ordine straordinario, ma anche di natura ordinariamente connessa ai tempi ed alle modalità con i quali si attende alle incombenze della propria giornata nella società attuale” (cfr., Cass. pen., n. 38900/2019).
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5. Osservazioni conclusive
Nel caso in commento la Cassazione, pur aderendo all’orientamento maggioritario, riconosce l’aggravante di cui all’art. 627, co. 1 n. 7 c.p. in quanto dal processo non erano emerse circostanze che potessero dimostrare che il tentato furto del prevenuto fosse diretto ad appropriarsi di oggetti posti all’interno dell’automobile.
Da qui ritiene che la condotta tentata dovesse considerarsi volta ad impossessarsi dell’automobile che in quanto parcheggiata su pubblica via e con le chiavi inserite poteva rappresentare l’oggetto dell’aggravante in questione.
A parere dello scrivente tale soluzione è prevedibile ogni qualvolta il fatto di reato integri solo gli estremi del tentativo e quindi, per l’interprete, risulti difficile acquisire elementi certi sulla direzione finalistica della condotta contestata.
Sulla predetta conclusione pesa, inoltre, inevitabilmente, la scelta del rito abbreviato che, come noto, ex art. 438 c.p.p. , in cambio di uno sconto di pena, sottrae all’imputato l’accesso al dibattimento.