Sintesi
Il notevole quantitativo di stupefacente trovato in possesso dell’imputato incide sulla penale rilevanza della condotta di detenzione e coltivazione di cannabis ad uso terapeutico.
Il fatto
Con la sent. del 3.12.2021, la Corte di Appello di Torino confermava la condanna, emessa in primo grado, con rito abbreviato, a carico di L.V., per il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente, di tipo marijuana, ai sensi dell’art. 73, co. 1-bis, lett. b) D.p.r. 309/90 e di coltivazione di diverse piante di cannabis, ai sensi dell’art. 73, co. 4 D.p.r. 309/90.
Occorre precisare sin da subito che tali disposizioni puniscono colui che detiene illecitamente (co 1-bis) e coltiva (co 4) medicinali contenenti sostanze stupefacenti elencate nelle tabelle ministeriali qualora eccedano il quantitativo prescritto.
Avverso la predetta sentenza, il prevenuto ricorreva per Cassazione, deducendo l’irrilevanza della propria condotta in quanto coltivazione domestica giustificata da esigenze terapeutiche (per lenire il dolore causato da grave Polineuropatia).
Con il ricorso censurava, inoltre, la mancata applicazione dell’attenuante di lieve entità prevista dall’art. 73, co. 5 D.p.r. 309/90.
La decisione
La Corte di Cassazione, con sent. n. 3714/2022 , dichiara il gravame inammissibile avendo il ricorrente proposto censure di merito – non sindacabili quindi in sede di legittimità – peraltro, inidonee a superare le motivazioni dei Giudici di appello.
Questi ultimi, infatti, avevano correttamente valutato che, considerata l’ingente quantità, il possesso della sostanza non avrebbe potuto trovare giustificazione nell’uso terapeutico invocato dal prevenuto.
La Corte si allinea quindi alle coordinate ermeneutiche tracciate dalle Sez. Un. Caruso n. 12348/2019 secondo cui il criterio utile a distinguere la coltivazione domestica da quella invece penalmente rilevante è quello della “prevedibilità della potenziale produttività” di sostanza stupefacente che deve però “essere ancorato a presupposti oggettivi […] che devono essere tutti compresenti, quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore”.
Quanto al diniego della qualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, co. 5 D.p.r. 309/90, inoltre, la sentenza di condanna aveva altresì correttamente ritenuto che sia il dato qualitativo sia quello quantitativo, unitamente agli altri parametri indicati dalla predetta disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione) non fossero idonei a integrare l’attenuante invocata.
Come noto, infatti, per valutare l’applicazione dell’attenuante indicata il giudicante deve soppesare la concreta offensività della fattispecie e dunque la lieve entità o meno del fatto attraverso una disamina comprensiva di tutti gli indici elencati dalla norma di riferimento (cfr. anche Cass. n. 49897/2019).
Per questi motivi condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria.