La risonanza mediatica del caso oggetto della presente disamina ha posto particolari dubbi sulla legittimità delle norme sul trattamento penitenziario speciale, previste dagli artt. 4-bis e 41-bis della L. del 26 luglio 1975 n. 354 .
2.Il caso.
La vicenda trae origine dall’ordinanza con cui la massima autorità in materia di sorveglianza statuiva in ordine al reclamo presentato dal detenuto A.A. avverso il decreto del Guardasigilli pronunciatosi in data 4 Maggio 2022.
Orbene, in virtù del summenzionato provvedimento, il Ministro di Giustizia disponeva a carico del ricorrente, la sospensione delle ordinarie regole trattamentali, riservando, altresì, al Direttore dell’istituto penitenziario coinvolto, l’adozione di specifiche misure di alta sicurezza interna ed esterna oltre all’esercizio del potere autorizzatorio per la limitazione di tutta la corrispondenza epistolare.
Dal provvedimento ordinatorio emergevano interessanti rilievi in ordine all’attualità delle condizioni di pericolosità del reo.
L’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, pronunciatasi nei confronti del detenuto – resosi responsabile in via definitiva di ipotesi delittuose ad alto allarme come i delitti di attentato per finalità terroristiche o di eversione e porto illegale di armi – metteva in risalto permanenti ed ancorché attuali relazioni del ricorrente con i gruppi criminali di appartenenza.
Tale conclusioni, peraltro, trovavano linfa dall’ingente quantità di materiale probatorio raccolto dall’acquisizione di informazioni a mezzo della Direzione Distrettuale Antimafia, dal quale emergeva che il detenuto avesse continuato, durante il periodo di detenzione, la sua insistente attività di dominus dell’organizzazione criminale dedita alla sovversione dell’ordine statale.
Di guisa, veniva rimarcata la continuità dei contatti che il detenuto era incline trattenere anche all’interno del circuito penitenziario a mezzo di scritti di corrispondenza con indicazione di sigle interpretate agevolmente quali chiari segnali distintivi della pericolosità de quo.
La rilevata permanenza del detenuto nel ruolo apicale dell’associazione aveva, pertanto, legittimato l’adozione dei meccanismi di sorveglianza speciale di massima sicurezza ex artt. 4-bis e 41-bis ord. pen., a fronte dell’inidoneità delle ordinarie regole trattamentali a contrastare siffatti episodi emergenziali.
Giunge in sede di legittimità il ricorrente, sollevando svariati motivi di doglianza.
Per quanto di interesse ai fini di una più precisa disamina, è il caso di evidenziare l’invocata violazione dell’art. 270-bis c.p. , limitatamente alla circostanza che la presunta sigla contenuta in taluni pizzini e riportante il simbolo identificativo dell’associazione eversiva, non costituirebbe assunto sufficiente per fondare un giudizio sull’attualità operativa dell’organizzazione criminale durante la permanenza nel contesto penitenziario.
Secondo la prospettazione difensiva, infatti, la medesima sigla non era stata mai rievocata come segno distintivo dagli organizzatori in ognuno degli attentati rivendicati.
Da tali considerazioni, il ricorrente invocava l’erronea valutazione del Tribunale di Sorveglianza in ordine al perdurare dei presunti legami che lo stesso avrebbe continuato ad intrattenere, tali da legittimare l’adozione dei meccanismi penitenziari ad elevata sicurezza.
A dette considerazioni si aggiunge, infine, l’ulteriore motivo di impugnazione che fa leva sul sopraggiunto proscioglimento pronunciato a favore di altri presunti organizzatori proprio in ordine all’accusa del reato di cui all’art. 270-bis e che, ad osservazione del reclamante, darebbe manforte alla sua tesi di eliminare qualsivoglia accertamento in merito al nesso tra la sua permanenza nel circuito penitenziario e le relazioni con gli stessi.
3.L’evoluzione applicativa delle norme trattamentali di sicurezza speciale.
Sintomatico, nella pronuncia in esame, è il tracciato evolutivo ripercorso dalla I sezione della Corte di Cassazione.
Quest’ultima, al fine di una maggior comprensione della ratio regolatrice della materia, richiama la L. n. 279 del 23 Dicembre 2002 che ha incrementato il novero dei destinatari ed ipso iure la natura e tipologia dei delitti attratti alla disciplina dell’art. 4-bis ord. pen. e, per la prima volta, ha riconosciuto agli stessi la possibile applicabilità di misure premiali (quali l’assegnazione al lavoro all’esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione), qualora abbiano manifestato ufficialmente la volontà di addivenire agli istituti propri della collaborazione con la giustizia.
Ulteriormente specifico risulta il richiamo alla L. del 15 luglio 2009, n. 94 , la quale, tipizzando tassativamente le ipotesi sottese all’ambito applicativo dell’art. 4-bis ord. pen., ha limitato la discrezionalità del Ministero di Giustizia e ampliato l’ambito di operatività del regime derogatorio alle regole trattamentali.
Le osservazioni conclusive della Corte di Cassazione mettono in luce come proprio l’allargamento applicativo del regime penitenziario differenziato abbia, nel corso del tempo, scatenato gli interventi della Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul contenuto e sui limiti dei provvedimenti del Guardasigilli nonché sulla possibilità evocata dai giudici di merito in ordine alla loro sindacabilità.
Specificatamente con quattro decisioni tra il 2009 e 2010 (dapprima ordinanze n. 220 e 313/2009, sentenze n. 266/2009 e n. 190/2010) la Consulta, rigettava le censure di incostituzionalità avanzate in ordine al contrasto con gli artt. 13, comma II , 24, comma I , e 113, commi I e II, Cost. .
Secondo il ragionamento del Giudice delle leggi, infatti, al di là di qualsivoglia assenza di riferimento sulla congruità dei mezzi e meccanismi applicativi che il Tribunale di Sorveglianza può adoperare, tale assunto non impedisce allo stesso di spingersi altresì, fino ad oltrepassare, in sede di giudizio sui regimi differenziati speciali, a quanto statuito dal Ministero di Giustizia, avendo quale punto di riferimento il perseguimento delle finalità previste dalla normativa in materia.
4.I motivi della decisione.
Facendo leva sulla connotazione preventiva assunta dall’art. 4-bis ord. pen., volta a contrastare il mantenimento di contatti tra il soggetto recluso ed il contesto ambientale di provenienza, anche a mezzo del criterio della ragionevole probabilità assunto in sede di accertamento, con la pronuncia in esame, la Suprema Corte di Cassazione considera legittimamente fondate le conclusioni assunte dall’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, non riscontrando tra l’altro alcun difetto in ordine all’assenza ed alla contraddittorietà dell’iter motivazionale.
Limitatamente ai confini del giudizio assunto dal Tribunale di Sorveglianza, la I sezione della Corte di Cassazione evidenzia come lo stesso, seppur non svincolato da specifici limiti in ordine ad un eventuale contrasto con le norme costituzionali, debba esser condotto in modalità prettamente prognostica involgendo particolari questioni fondate su presuntivi sussistenti rilievi di pericolosità sociale, desunta (proprio) dal mancato ravvedimento del soggetto ed il persistente richiamo alla necessità di porre in essere scritti di contrastante interpretazione.
Relativamente alla sollevata erronea valutazione circa la continuità delle comunicazioni tra il detenuto ed il gruppo eversivo di appartenenza, la decisione della Cassazione sembrerebbe nuovamente ricalcare gli auspici che si pongono alla base della corretta applicabilità delle norme derogatorie all’ordinario sistema trattamentale. La I sezione, facendo leva sui gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica – che, nel caso esposto hanno giustificato il ricorso al regime carcerario di cui all’art. 4-bis ord. pen. – precisa che, pur non essendo disciplinati nelle norme del carcere duro gli elementi per addivenire in via immediata all’accertamento sui presunti collegamenti tra il detenuto e l’associazione di appartenenza, è pur chiaro che semplici pizzini o richiamate sigle storiche possano assurgere ad indizi di provata permanenza dei contatti con l’ambiente criminale dell’esterno.
La Corte di Cassazione specificando ulteriormente il preventivo ruolo assunto dalla norma dell’art. 41-bis ord. pen. diretto a eliminare le probabili influenze del detenuto sull’ambiente esterno, conferma come anche semplici scritti, seppur non comunicativi direttamente dei contatti con il contesto criminale, se assunti in ragione all’elemento della ragionevole probabilità richiesta per l’applicazione delle misure di sorveglianza speciale, finiscono per considerarsi esaustivi.
Per tali motivi, conferma la legittimità delle decisioni assunte dal Tribunale di Sorveglianza rigettando le doglianze sollevate dal detenuto, il quale più di recente, aveva manifestato un atteggiamento di totale contrasto iniziando lo sciopero del cibo, per svincolarsi probabilmente dall’intervenuta esecuzione delle coercitive misure di sorveglianza speciale, facendo emergere ulteriori motivi in ordine all’incompatibilità delle misure ivi applicate con la sopraggiunta precarietà delle condizioni di salute aggravate dall’interruzione volontaria delle più elementari esigenze quotidiane.